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IL FATTO
22 marzo 1945 : in uno scontro a fuoco a seguito di un'ìimboscata i partigiani uccidono nove soldati tedeschi. Così la rappresaglia : venti detenuti politici  , ignari di tutto, vengono prelevati dal carcere di Marassi ( di cui cinque nell'infermeria) e condotti con un camion militare a Isoverde. Due di loro riescono a scappare buttandosi da uno squarcio del telone. Vengono poi costretti a inerpicarsi a piedi verso Cravasco. A uno di loro, Tino Quartini, amputato di una gamba i tedeschi gettano via le stampelle per cui gli altri a turno devono sorreggerlo. Alla fucilazione sopravvive Arrigo Diodati. ferito al collo ma creduto morto dai tedeschi. 

Questo episodio si inscrive nella guerra di resistenza in cui decine di migliaia di persone morirono per la libertà.

I DATI GENERALI DELLA RESISTENZA

                  PARTIGIANI                      ESERCITO DI LIBERAZIONE
caduti  69.774  35.149
dispersi  62.354  18.992
mutilati  36.610  11.411

Riportiamo forse per la prima volta anche un episodio che può permettere di capire cosa è successo dopo la liberazione. Non tutti i fascisti erano criminali, i più aderivano al regime solo perchè erano obbligati  :senza tessera fascista non si poteva lavorare e il dimostrare antipatia alla dittatura era punito con lo strappo delle unghie (alla casa dello studente a Genova era uno spettacolo ordinario) o con l'obbligo di ingerire olio di ricino. Altri erano intontiti dalla propaganda unilaterale di regime dove si affermava che tutto fosse giusto e andasse bene, chi  cercava di dimostrare il contrario abbiamo visto come andava a finire. A fine guerra scoppiarono anche le vendette ed una giustizia approssimativa (rari furono i casi in cui qualche partigiano, magari dell'ultima ora, approfittò della situazione per personali vantaggi). In questo clima successe  a Pontedecimo quanto vi raccontiamo (omettiamo i nomi poichè i figli sono ancora vivi).  Un importante rappresentante del partito fascista sfruttava la sua posizione per compiere abusi di ogni tipo. Finita la guerra tre persone che avevano subito angherie  (ad uno gli aveva seviziato la figlia) decisero di vendicarsi contro quest'uomo: lo aspettarono di sera sotto il ponte ferroviario di santa Marta per finirlo dalle botte. Alla nostra domanda se non sarebbe stato meglio aspettare un regolare processo la risposta fu: "l'aviemo ancun oua (l'avremo pure adesso) ".

Ecco come il poeta genovese Edoardo Firpo (1889-1957) ricorda l'eccidio

:Quello strazetto da crave
fra stecchi nûi e spinoni
che verso a çimma o s'asbria,
a stradda a l'è ch'àn battûo
in quella tetra mattin.
Cianzéivan finn-ai rissêu;
cianzéiva l'ægua in to scûo
a-o fondo ai canaloin…
Me pâ sentî i so passi
luveghi comme un tamburo
lenti, che scûggian indietro
cö mutilòu in sce-e spalle;
ï veddo cazze, stä sciù…
perché stan sciù se fra poco
cazzian poi tutti lasciù!…
Han ciammòu Dio in aggiûtto
con ogni colpo do chêu
pe lô, pe-a so moæ, pe-i figgêu,
ma o fî o se fæto ciù cûrto
e a raffega a-a fin a l'à streppoù.
Perché in te grandi ingiustizie
Dio o l'è sempre lontan?
E çerco i gïo ai mæ passi
se un segno o fosse restòu;
no gh'è che i pochi fioretti
che in sce-o sentë n'han lasciòu,
poi in strassetto de fêuggia
secca ch'a sbatte a unna ramma…
Dunque o dolore o se perde
comme da sabbia in to vento?…
Ma in ta gran paxe di monti
se sente l'eco de l'ægua
lontann-a ch'ai ciamma, ch'ai ciamma…