FOTO ELENA LUME

Nel mezzo del ponte sul torrente Riccò c'era la decima pietra miliare della via Postumia che finì per denominare anche l'agglomerato urbano intorno, già presente in età preromana. Data l'importante posizione della via fu costruito un fortilizio presidiato dalle forze armate dell'impero nella zona tra via Meirana e via Campomorone unitamente al Castro Finis di S.Cipriano, a quello di Medolico a Morego e a quello Aliano del piano di Reste verso il passo della Bocchetta. Nel  primo fortilizio la famiglia dei Caschifelloni ospitò l'imperatore Arrigo IV nel 1191. Esso venne distrutto nel 1316 durante gli scontri tra i guelfi ed i ghibellini e poi ricostruito. Ormai sempre più privato d'importanza rovinò fino a che gli ultimi ruderi furono spianati definitivamente nel 1923 con la costruzione dell'attuale società operaia cattolica. Nel 1167 si ha notizia ufficiale della cappella romanica dedicata a S.Giacomo forse preesistente di quasi due secoli, dipendente con tutto il borgo di Pontedecimo dalla pieve di S,Cipriano. Accanto ad esso fu costruito un albergo sempre dedicato a S.Giacomo, che continuò dal XIII secolo al 1775   ad ospitare i viandanti. In quest'ultima data   fu distrutto per lasciare spazio alla strada di fondovalle. Nel XIV secolo venne anche eretto l'oratorio dalla confraternita dei disciplinati poi curato fino ad oggi da quella denominata "morte ed orazione". Questi nuclei religiosi furono aggregazioni per la laboriosa vita del borgo che ebbe però una interruzione drammatica   durante la guerra tra guelfi e ghibellini. Fu un periodo tragico che disseminò la valle di morti e rovine non meno della peggiore delle epidemie. I sopravvissuti fuggirono in zone più sicure e   la valle rimase spopolata.

Il Giustiniani parla della ripresa intorno al 1500 "buon borgo per numero di case e la fortezza". Sul finire della prima metà del 1600 anche i frati francescani si insidiarono apportando un nuovo nucleo di  di solidarietà sociale soprattutto durante la terribile epidemia di peste del 1600 che falciò un terzo della popolazione. Ma furono l'apertura della strada della bocchetta nel 1585 (prima semplice via tra i boschi) e soprattutto la strada carrettabile dei giovi inaugurata nel 1777 a rilanciare il Borgo che fiorì fino a prendere il posto di S.Cipriano sia come comune sia come parrocchia. Ormai agli inizi del 1800 Pontedecimo ebbe la sua stazione ferroviaria , per merci e viaggiatori e deposito delle locomotive a carbone. Nacquero le società operaie della fratellanza nel 1872 e la Società Cattolica nel 1879 e, nel secolo successivo,  l'Unione sportiva nel 1907 e la Croce Verde nel 1908 ed infine nel 1934 l'ospedale andrea Gallino. Ultima edificazione fu quella delle carceri. In quest'ultimo secolo si assiste al degrado del territorio con una cementificazione selvaggia di oasi verdi ed ad un inquinamento sempre maggiore. Negli anni 50/60 le esalazioni soprattutto di anidride solforosa della raffineria Garrone a S.Quirico e le polveri ferrose delle fonderie Grondona rendevano l'aria spesso irrespirabile e grigia. Inquinamento che continuò con il crescente traffico automobilistico e relative esalazioni di ossido di carbonio. Oggi è sempre più raro vedere limpidamente Pontedecimo  e la Valpolcevera dall'alto di un monte essendo sempre coperta da una cupe nube grigia.

La popolazione (vedi demografia) nel corso dei secoli ebbe un vertiginoso aumento dai 1300 del 1500 ai 3870 del 1883 ai 16.300 del 1971. L'ultimo lieve calo della popolazione non ha interrotto la continua espansione urbana a danno delle aree verdi. L'immigrazione dal meridione d'Italia ed adesso da altri paesi extraeuropei stanno riportando la popolazione sul livello del 1971. Nuovi problemi di inquinamento e traffico dovuti alla concentrazione umana stanno emergendo prepotentemente e sono destinati ad infittirsi con la costruzione di aree per il mercato dei pesci e della frutta in località Morigallo. La speranza nostra e per i nostri figli  è che le esigenze economiche ed urbanistiche non contrastino selvaggiamente  quelle della salvaguardia del territorio già gravemente compromesso e le speculazioni private non prevarichino sul bene comune (che è poi l'interesse sommato di ogni singolo)  di una paese e di una valle che fino all'ottocento era di una bellezza unica.